Neurodiversità: che cos’è e perché è importante parlarne?
Il termine neurodiversità è stato coniato dalla sociologa australiana Judy Singer ed è comparso per la prima volta in un articolo pubblicato alla fine degli anni Novanta, sulla rivista inglese The Atlantic. La Singer, donna con una figlia nello spettro autistico, non è l’unico genitore ad aver contribuito enormemente alla divulgazione in merito all’autismo, sono infatti moltissime le famiglie che hanno consentito il progresso della ricerca e la diffusione della conoscenza in questo ambito.
Coniato dalla Singer, Il termine neurodiversità ha dato l’opportunità di sdoganare l’autismo dal concetto di patologia, infatti dopo il lavoro della sociologa australiana si è potuto cominciare a considerare lo sviluppo neurobiologico atipico come una variazione naturale del cervello umano e non come un’affezione. Il fatto di considerare la diversità neurobiologica come una «differenza normale», nel continuum dello spettro umano, è stato senz’altro utile per aprire la strada ad una nuova concezione dei diversi modi espressivi dell’esistenza, e conseguentemente anche dei sistemi atti ad accogliere e considerare gli individui e le loro esigenze.
Con il nuovo costrutto possiamo far riferimento alla variabilità neurobiologica umana, e quindi alla differenza tra tutti i cervelli, e alle condizioni di atipicità che, attualmente, sono definite con il concetto di neurodivergenza, tra le quali troviamo l’Autismo (ASD), l’Alto potenziale cognitivo (APC), il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), i Disturbi specifici dell’Apprendimento (DSA), la Disprassia, la Sindrome di Tourette e le diverse atipicità del neurosviluppo in una visione di continuità con l’età adulta.
Benché siano passati molti anni, di fatto, la neurodiversità, meglio espressa con il concetto di neuroatipicità, è ancora poco conosciuta sia in ambito clinico che nella società, ed è importante invece chevi sia divulgazione per la riduzione dello stigma e per una nuova e migliore considerazione della diversa modalità di essere-nel-mondo [Binswanger, 1926] delle persone nell’approccio verso le cose e verso gli altri, e nel differente modo di vivere il tempo, lo spazio e i significati.
Come riconoscere la neuroatipicità
La neuroatipicità non sempre si traduce in segnali visibili dall’esterno, ma piuttosto caratterizza l’individuo per un diverso modo di processare le informazioni sia interne che esterne, che ha come effetto una differenza nella sintonizzazione emotiva, sensoriale e cognitiva con l’ambiente e una conseguente diversità nel ritmo dell’interazione e dell’espressione personale da parte del soggetto. Le persone neuroatipiche, o che mostrano uno sviluppo atipico, non presentano infatti una menomazione, ma una diversa qualità e temporalità nel modo di percepire, elaborare ed intendere la realtà, per la qual cosa c’è bisogno di conoscenza. Come afferma Temple Grandin, una delle più note donne nello spettro autistico, ricercatore, scienziato e professore associato della Colorado State University, si tratta di un modo d’essere differente e non inferiore, che però può essere facilmente travisato.
Come riconoscere la neuroatipicità o lo sviluppo atipico:
- in genere lo sviluppo non rispetta le tappe attese: può mostrare precocità, lentezza e l’acquisizione delle competenze può avvenire per salti;
- l’apprendimento, la capacità di acquisire e utilizzare le informazioni ricevute, il modo di sentire e percepire il mondo e l’altro possono non soddisfare le aspettative sociali;
- può essere difficile o impossibile apprendere con gli strumenti della didattica formale, dove ci sono ritmi, tempi e modalità non sempre consoni alle esigenze personali;
- possono essere presenti difficoltà di apprendimento in contesti educativi formali, e difficoltà ad imparare quando l’insegnamento viene perlopiù impartito con metodi standard e non personalizzati;
- può emergere una fatica maggiore per portare a termine semplici lavori, soprattutto in condizioni sensoriali e sociali inadeguate;
- possono emergere caratteristiche insolite nella percezione visiva, che si traducono in difficoltà di attenzione, lettura, scrittura e apprendimento; spesso mergenti con stati d’ansia e senso di affaticamento;
- si possono evidenziare problematicità nella risoluzione di compiti se si è obbligati a seguire gli schemi comuni;
- possono emergere abilità insolite e inattese insieme ad aree fragili di funzionamento rispetto ai pari;
- le abilità possono essere altamente disomogenee: le persone possono essere molto scarse in un ambito (ad. ambito logico-matematico) ed essere molto abili in un compito che riguarda lo stesso ambito (ad. esempio contare);
- può emergere una discrepanza tra gli aspetti cognitivi e quelli emotivi, per una più evidente fragilità e immaturità dei secondi;
- l’età anagrafica e l’età emotiva possono mostrare una incongruenza;
- può essere presente una modalità spiccatamente autodidatta di apprendimento, con uno stile di pensiero concreto;
- possono essere presenti difficoltà nell’addormentamento, selettività alimentare e mutismo selettivo;
- si può notare una differenza nel modo della ricerca di soluzioni, nella flessibilità cognitiva, nelle routine, nel modo di intendere la socializzazione e nella logica del senso.
Nonostante le difficoltà presenti, tuttavia il disagio può essere mitigato in presenza di risorse del soggettoe di sostegno negli ambienti di vita.
Le condizioni di atipicità del neurosviluppo, che nel DSM-5 sono annoverate tra i Disturbi del neurosviluppo, ci pongono di fronte ad una dimensione di complessità che necessita di frequentazione, tempo e preparazione da parte di chi se ne occupa. Le peculiarità presenti possono sfuggire ad un occhio poco attento, a chi non ha familiarità con la condizione o a chi non possiede attitudini e sensibilità per l’ambito di riferimento.
Neurodiversità e scuola
A scuola, gli alunni che mostrano uno sviluppo atipico spesso rimangono nell’ombra e non sono compresi nelle loro attitudini ed esigenze evolutive e educative. In classe, frequentemente, vengono considerati pigri, svogliati, saccenti, vivaci e disinteressati. Il disagio provato spesso non è espresso verbalmente da parte dall’individuo, e non viene riconosciuto dagli altri né tanto meno sostenuto; le difficoltà talora emergenti possono essere perlopiù considerate un difetto comportamentale, del carattere o l’effetto di dinamiche familiari inappropriate.
Soprattutto in passato, ma ancora oggi, molti alunni vengono allontanati da scuola, vengono bullizzati e bocciati. Sono tanti gli adulti, i genitori e gli insegnanti che si adoperano per il sostegno delle diverse necessità e qualità espresse, e che si impegnano per il diritto allo studio secondo quanto previsto dalla legge 170, 2010 in materia di DSA e dalla Direttiva sui BES del 2012, ma non tutti ricevono l’aiuto di cui hanno bisogno. Molte famiglie si ritrovano spesso a peregrinare in vari studi medici e nelle scuole, senza ricevere risposte adeguate né supporto significativo. Sono purtroppo molte le storie di adulti segnati da un passato di diagnosi sbagliate, di non riconoscimento e di terapie non adatte alle loro esigenze.
Lo sviluppo atipico è una condizione ambiente-dipendente, per la qual cosa l’individuo può essere altamente performante, oppure disadattivo, a seconda del contesto, della situazione, delle persone presenti, del compito e delle condizioni personali in quel momento. Di fatto, le performance scolastiche, lavorative e sociali migliorano in ambienti confortevoli e confacenti ai bisogni individuali, ed è quindi necessario l’impegno da parte di tutti affinché si possano riconoscere preventivamente le condizioni educative ed evolutive specifiche e possano essere messe in atto le misure previste dalle norme per l’inclusione scolastica. [Legge 104/92, la Legge 170/10; la Direttiva Bes del 27/12/2012 e sue successive modificazioni (C.M. 6/03/2013; nota 562 3/4/2019)].
Il valore della divulgazione. Per una filosofia della neurodiversità
Da quanto detto fin qui,diventa forse più chiaro perché si debba continuare a parlare in termini di neurodiversità. La parola “neurodiversità” è un termine che può aiutare ogni persona che vive una condizione di atipicità neurobiologica, di differenza del sentire, della percezione, della rappresentazione e del giudizio,a vivere in maniera più integrata.
Introducendo la possibilità del tertium non datur di platonica reminiscenza, ovvero l’inclusione della diversità al posto della dicotomia salute/malattia, si agevola l’apertura verso l’alterità e si stimola la capacità di ascolto e di dialogo interpersonale fra mondi diversi, tra differenti esigenze e possibilità.
Includere la neurodiversità nelle categorie del reale significa inoltre ridurre lo stigma che porta con sé il concetto di Disturbo e far in modo che sempre più persone si applichino in maniera virtuosa per la legittimazione delle differenze, rendendo il mondo un posto migliore per tutti.
La rete solidale
In questi ultimi anni c’è stata una fitta attività di promozione in favore del cambiamento culturale e sociale per il quale le persone interessate e i loro familiari sono diventati portavoce della loro differenza.
Attraverso la divulgazione e l’impegno si è affermato sempre di più un nuovo modo di pensare la differenza e ha preso forma una cultura di tipo nuovo che ha prodotto una crescita esponenziale dell’interesse per la neuroatipicità e le sue diverse forme.
Chiaramente lo scopo primario delle pratiche di autodeterminazione è quello di dar voce a chi vive in prima persona la propria condizione, affinché possa esserci il perfezionamento delle richieste da parte dei servizi, oltre che una migliore divulgazione delle informazioni.
Bisogna far attenzione all’utilizzo delle parole
Come espresso in precedenza, in merito ai Disturbi del neurosviluppo attualmente si parla ancora di disturbo o affezione, ma sarebbe senz’altro preferibile sostituire tali termini con quello di condizione, sia perché più consono ad un modo d’essere come quello neuroatipico, sia perché concorre a ridurre lo stigma, indirizzando inoltre gli interventi non necessariamente in ambito clinico, fermo restando che alcune condizioni che mostrano criticità elevate devono essere vagliate nelle sedi preposte.
Le parole sono fondamentali quando si interagisce e quando si vogliono condividere concetti e conoscenza, ed è per questo che bisogna far attenzione ai termini utilizzati affinché questi non diventino strumenti adatti ad aumentare lo stigma, piuttosto che a produrre ben-essere.
La fenomenologia e la legge 180/1978 detta “Legge Basaglia”
La filosofia ci aiuta a favorire forme di pensiero migliori che consentono di far emergere la persona e il suo specifico bisogno (fenomenologia), ma molto lavoro rimane ancora da svolgere affinché possa compiersi pienamente il cambiamento culturale necessario, in termini di corretta divulgazione, ricerca di strategie di inclusione e modifica degli ambienti di vita. La legge 180 del 1978 (meglio conosciuta come “Legge Basaglia”) ha sancito il diritto inviolabile delle persone al di là della condizione di salute e malattia e a questa legge è importante continuare a guardare, e a dare attuazione.
La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF), che opera in una prospettiva Bio-Psico-Sociale, ha promosso un progresso notevole nel ripensare la disabilità, sottolineando la responsabilità della società nel determinare le limitazioni dell’individuo, spesso in difficoltà perché costretto a vivere in contesti non adeguati alle proprie esigenze.
L’invito vuole essere quello di cominciare a dare ascolto al bisogno dell’individuo in una concezione etica della cura affinché ognuno possa vivere la propria condizione guardandola come una disponibilità e non come un disagio. Chiaramente è importante che questa sfida venga accolta da un numero sempre maggiore di persone e di professionisti.
Per un approfondimento si rinvia al testo di Loredana Di Adamo: Filosofia e clinica. Un nuovo approccio all’autismo di livello 1 e alla neurodiversità, Mantova, Negretto 2022, con la prefazione di Ernesto Venturini