Filosofia e clinica. Per una cura a misura di persona
Il tema della «cura di sé» è centrale nella mia pratica clinica ad orientamento fenomenologico per la neurodivergenza, come ho delineato nel mio libro Filosofia e clinica. Un nuovo approccio all’autismo di livello 1 e alla neurodiversità. Ritengo infatti essenziale che la cura, nella sua accezione più ampia, torni ad abitare con un senso profondo il nostro quotidiano.
Questo vuol dire che la cura deve riprendere il suo centro come valore essenziale della nostra vita, in funzione del quale portiamo avanti la nostra esistenza insieme ad altri esseri umani sostenendo la comune fragilità, come afferma Borgna, come una comunità di destino.
Ed è proprio a questo concetto che penso dovremmo dare più rilievo, e cioè alla cura non intesa come terapia, o come appropriazione medico/specialistica, ma come riappropriazione personale e comunitaria.
Questo vuol dire prendere consapevolezza della nostra condizione umana in quanto «dimensione di vulnerabilità», la cui inconsistenza e precarietà ci pone continuamente nell’orizzonte del bisogno di attenzione e bisogno dell’altro, in una fragilità ontologica che ci espone ad ogni istante all’ineluttabile.
La condizione umana, una condizione vulnerabile che ha bisogno di sostegno continuo
Essenzialmente mancanti, come esseri viventi, nasciamo bisognosi di cura e lo rimaniamo per il resto della nostra vita, chiamati alla responsabilità di garantire a noi stessi l’accudimento necessario (Foucault, La cura di sé, 1984) e offrirlo anche agli altri con i quali entriamo in contatto, dando forma al nostro essere (Mortari, Filosofia della cura, 2015).
Ecco perché la capacità di imparare l’arte di esistere non può essere demandata solo alla clinica, e né tanto meno alla scienza (Husserl, 1935), ma deve arrivare da quella «sapienza delle cose umane» di cui parla Socrate (Platone, Apologia di Socrate, 20d), che fa capo al conosci te stesso (gnôyisautón) e che è quindi esercizio di virtù, essenziale per il raggiungimento della vita buona(Platone, Alcibiade Primo, 124a-b).
La realizzazione della cura attraverso la dedizione ad una disciplina sportiva può divenire habitus, e quindi stile di vita, e può essere considerata quindi come una possibilità per raggiungere il benessere mediante l’applicazione quotidiana con cui, non solo migliorare la prestazione, ma dare forma a se stessi (Hersch, Essere e forma, 1946).
Il fatto di allenare il corpo non deve essere visto nel suo aspetto riduzionistico, come semplice addestramento o potenziamento del corpo, ma come perseguimento di una più stretta connessione tra sensazioni, emozioni e segnali del corpo.
In tal senso la disciplina sportiva permette la coltivazione (il termine cultura deriva dal latino còlere, «coltivare») di un gusto, e rende la persona più forte nella sua capacità personale di attingere alle proprie risorse per superare le difficoltà. Lavorare sulle proprie qualità personali significa infatti allenare se stessi nel perseguimento di un ideale di saggezza che rende più capaci di temperanza,di prudenza eauto-regolazione (Gadamer, Verità e metodo, 1960).
La filosofia antica e la cura dell’anima e del corpo
L’Accademia di Platone fondata nel 287 a.C. era pensata per allenare il corpo e la mente, quindi per rendere le persone capaci di virtù, le loro anime belle, secondo armonia e misura in corpi atletici.
La ginnastica (dal greco γυμνάζω «fare esercizi ginnici») rappresentava una parte di quell’educazione (dal greco παιδός «ragazzo», tradotto poi con «formazione umana») riservata ai giovani che si apprestavano allo studio (Platone, Parmenide, 137c2-166c5), e che dovevano innanzitutto avvicinarsi allo sport, alla musica (Platone, Repubblica, Libro III, 398-399-400) e alla geometria prima di accedere a qualsiasi altra disciplina.
Fare esperienza del proprio limite, aumentare la consapevolezza delle proprie possibilità, allenare la mente e il corpo in attività che richiedevano pazienza, costanza e grande senso della misura, era un modo per esercitare quelle virtù necessarie alla vita buona, e per ricoprire eventualmente un incarico politico.
La condizione umana era vista, infatti, come un’eterna sfida da affrontare con coraggio e senso di abnegazione, attraverso la maturazione di qualità da realizzare attraverso l’allenamento pratico ma anche mediante la regolazione delle emozioni e la capacità di agire in maniera retta e vivere secondo misura (Platone, Fedro, 246 a-b)
«Quindi la virtù è uno stato abituale che produce scelte, consistente in una medietà rispetto a noi, determinato razionalmente, e come verrebbe a determinarlo l’uomo saggio, medietà tra due mali, l’uno secondo l’eccesso e l’altro secondo il difetto». Aristotele, Etica Nicomachea, IV sec. A.C.
Per i filosofi antichi provvedere alla salute significava impegnarsi ogni giorno nel perseguimento della giusta misura(κατάμέτρον, «secondo misura») e, seguendo l’indicazione di Aristotele (Etica Nicomachea, IV sec. A.C.), questo significava perseguire il proprio poter essere sé, ovvero la propria disposizione più propria.
In questo consisteva la realizzazione della felicità (εὐδαιμονία, «buon demone»), ovvero la possibilità di attuazione della propria natura secondo la personale disposizione. La filosofia e la pratica non erano dunque disgiunte, e l’impegno primario era indirizzato al miglioramento di sé, inteso come stile di vita ed atteggiamento virtuoso (Platone, Alcibiade maggiore, IV sec. a.C.).
La mia fenomenologia clinica per il benessere fisico e mentale nell’ambito della neurodivergenza e della vulnerabilità neurobiologica
Attualmente in ambito psicologico, neuropsichiatrico e psichiatrico viene data poca importanza alla valenza terapeutica dello sport, ma io come filosofa e terapista di medicina manuale – ancor prima che come psicologa – continuo invece a pensare che sia proprio in questa direzione che si debba continuare a progettare e a pensare una possibilità diversa di sostegno clinico e sociale.
Ritengo lo sport un alleato fondamentale per la salute fisica e mentale; e questoin generale, ma ancora di più:
- nelle fasi difficili della vita in cui il passaggio delle età può creare innumerevoli problemi (adolescenza, puerperio, età avanzata);
- in caso di bisogno specifico in cui è necessario recuperare il proprio equilibrio psicofisico, o quando si è costretti a realizzare una nuova modalità di sentirsi nel proprio corpo, per esempio a seguito di un trauma o di una patologia;
- nell’ambito dei disturbi alimentari e della dispercezione corporea;
- o ancora nell’ambito della neurodivergenza e dello sviluppo atipico e delle diverse condizioni di vulnerabilità neurobiologica (tra cui troviamo iperattività, disprassia, dis-regolazione emotiva, difficoltà percettive e di apprendimento) per le quali sono utilizzate spesso terapie riadattate, che danno scarsi risultati, oppure approcci tesi a lavorare solo sul sintomo e che lasciano da parte l’aspetto del corpo vissuto, come dimensione di mondo e di senso della persona in difficoltà.
I bisogni educativi ed evolutivi specifici e la mia esperienza al riguardo
Ritengo sia per la mia esperienza clinica, ma anche in virtù della mia esperienza come docente nei corsi professionali di avviamento al lavoro con ragazzi, tra i 14 e i 18 anni con bisogni educativi ed evolutivi specifici, che il movimento, così come la possibilità di espressione, il miglioramento della coordinazione e l’affinamento della propriocezione – e quindi un buon uso del corpo, della manualità e della respirazione – possano costituire la base della cura, intesa come armonia di corpo e mente e raggiungimento di quel benessere psicofisico desiderato.
Nella mia pratica divulgativa il mio appello è alle istituzioni, ai clinici, ma anche agli istruttori, agli insegnanti, e agli educatori e ai volontari
Nella mia pratica divulgativa il mio appello è ai clinici, ma anche agli istruttori, agli insegnanti, e agli educatori e volontari affinché si possa attualizzare una cura che abbia alla base la cura del corpo come cura degli aspetti essenziali del disagio della persona, che spesso provengono dalla scarsa conoscenza di sé, del proprio corpo e delle informazioni che provengono da una corporeità spesso dimenticata (Basaglia, Scritti 1953-1980).
Chiaramente è importante lavorare in un’ottica integrata, che veda in dialogo professionisti, clinici e famiglie,verso percorsi educativi e ricreativi adatti alla condizione del proprio familiare e alle necessità individuali, andando incontro agli interessi dell’individuo che esprime un bisogno e alla sua disposizione.
La promozione di progetti e risorse dovrebbe vedere anche un impiego di risorse da parte della politica che, in dialogo con le associazioni, promuova una dimensione di cura più sostenibile, e che coinvolga a diverso titolo la collettività.
In questo modo si produrrebbe anche un cambiamento nella cultura della cura che ritengo urgente, e che spero diventi presto un’ “educazione alla cura” che veda tutta la società impegnata nel miglioramento di spazi e nella costruzione di progetti educativi a servizio dei bisogni di ogni persona e delle famiglie.
Gli educatori si sforzano abitualmente di forgiare discepoli con un’idea astratta di omologazione. Quando un giovane mostra tratti caratteristici particolari, gli educatori – genitori, insegnanti, medici, operatori sociali e sanitari – tendono a irreggimentarlo, a ridurlo a uno schema usuale e generico.
È quanto accade, ad esempio, di fronte a un/una adolescente che presenta tratti autistici: si prospetta una normalizzazione impossibile o molto difficoltosa. C’è una grande differenza tra insegnare e educare. Insegnare significa spiegare qualcosa in modo che venga appreso [..].
Educare significa, invece, sviluppare e affinare la sensibilità, le facoltà intellettuali, estetiche, morali di una persona. […] È evidente che mi auguro che la cura della persona nello spettro autistico sia soprattutto e sempre un “educare”.
Dalla prefazione di Ernesto Venturini al testo Filosofia e clinica. Un nuovo approccio all’autismo di livello 1 e alla neurodiversità, di Loredana Di Adamo, edito da Negretto, 2022
Partendo dal presupposto che benessere fisico e salute mentale non sono due entità distinte, ritengo fondamentale riportare al centro dell’attenzione della psicologia e della psichiatria l’opportunità di avvalersi delle discipline sportive nell’intervento clinico, indirizzando le famiglie e le persone con bisogni specifici ad una cura che sia prima di tutto accudimento di sé, del proprio ritmo e della dimensione del corpo vissuto.