Le popolazioni di Centro e Sud America ne conoscevano le straordinarie proprietà già secoli prima dell’arrivo dei “conquistadores” europei alla fine del 1400 e lo usavano tradizionalmente per curare moltissime malattie, in particolar modo infezioni d’ogni tipo. E gli Incas consideravano il Lapacho una pianta sacra, anzi “divina”. Ultimamente la fama che può vantare si va diffondendo anche in Occidente, forte delle conferme sulle sue proprietà che derivano da vari studi scientifici. E allora perché non cercare di scoprire quali sono? Cominciamo col dire che il Lapacho è un arbusto che cresce spontaneamente in Brasile, Bolivia, Argentina e Perù, può vivere molto a lungo raggiungendo grandi dimensioni e ha bellissimi fiori ornamentali di colore giallo, rosa o porpora, ma soprattutto è dotato di una corteccia molto robusta e resistente al cui interno sono racchiuse molte sostanze naturali.
Lapacho: la pianta sacra
Chiamato anche Pau d’arco o Ipè Roxo, a seconda delle zone geografiche in cui cresce, i botanici la classificano con il nome di Tabebuia Impetiginosa, riferito alla sua efficacia nella cura dell’impetigine, una malattia della pelle trasmissibile, provocata da batteri che innescano infezioni locali superficiali con formazione di lesioni bollose e croste giallastre o brune.
«Del resto, nei Paesi di cui è originaria, da secoli questa pianta è utilizzata come rimedio di svariate affezioni della cute,tra le quali psoriasi, eczemi o dermatiti anche di origina allergica – spiega il dottor Giuseppe Gianfrancesco, naturopata e ricercatore a Milano.
Ma il suo uso si è sempre esteso anche a molti altri impieghi. In particolar modo il Lapacho è ritenuto capace di restituire forza ed energia al corpo e di aumentarne considerevolmente le difese immunitarie, aiutandolo a combattere le malattie infettive. Ciò si deve al fatto che la sintesi dei suoi costituenti avviene proprio all’interno della flora batterica intestinale, la “fucina” delle difese immunitarie del nostro corpo. La sua componente biochimica è alquanto complessa: registra infatti la presenza attiva di minerali traccia come calcio, potassio, magnesio, fosforo, zinco, silicio, rame, sodio e cobalto, per citarne solo una parte, ma soprattutto il Lapacho contiene composti chimici molto attivi chiamati naftochinoni, tra i quali il lapacholo. Presenti nella parte interna della sua corteccia, sono in particolar modo questi a bloccare l’azione di batteri, virus, funghi responsabili di micosi e parassiti. Non solo: poiché sostengono l’attività del fegato, svolgono anche una potente azione antiossidante, vale a dire di contrasto ai danni provocati dai radicali liberi. Inoltre sintetizzano svariati composti vitaminici tra i quali primeggia la vitamina K, utile non solo nel prevenire emorragie ma anche come co-fattore nella formazione di alcune proteine utili per rafforzare la struttura delle ossa. Grazie alla sua azione anti-acidificante, dovuta a sostanze a forte impatto alcalino come calcio, potassio, fosforo e magnesio, il Lapacho viene anche impiegato con successo nella cura della candidosi batterica, sindrome infettiva invalidante che colpisce le donne e si sviluppa a causa dell’eccessiva e ripetuta assunzione di alimenti ricchi di zuccheri, il nutrimento principale del batterio responsabile. Si tratta di una proprietà da non sottovalutare, se si tiene conto che le candidosi possono innescare una lunga serie di sintomi, a volte gravi, come cistiti, infiammazioni uro-genitali, herpes simplex anche vaginale, abbassamento delle difese immunitarie, cefalee, disturbi gastrointestinali, stanchezza diffusa, ipersensibilità e scarsa efficienza delle vie aeree, ansia, irritabilità, insonnia, eczemi, psoriasi, dermatiti, allergie, disturbi articolari e circolatori. In tal caso, bisogna però precisare che, per rendere ancora più efficace l’azione del Lapacho, può essere utile assumere anche probiotici per il ripristino della flora batterica intestinale che, ricordo, funge da barriera difensiva contro le aggressioni di batteri e virus. Ma non è tutto: il Lapacho svolge anche un’azione sedativa, decongestionante, analgesica, diuretica, cardiotonica e perfino antidiabetica, dal momento che sembra in grado di limitare l’assorbimento del glucosio a livello intestinale. Infine, questa pianta sembrerebbe capace di inibire alcuni fattori che predispongono alla formazione di determinati tipi di tumore, ma su questo c’è ancora bisogno di ulteriori ricerche e conferme».
Parti utilizzate e usi della pianta
Quali parti si utilizzano e come si assume il Lapacho? «Si fa uso della parte interna della corteccia, la più ricca in principi attivi – spiega ancora il naturopata. – Il Lapacho può essere utilizzato sia per curare disturbi già presenti sia a scopo preventivo, soprattutto per rafforzare il sistema immunitario e aiutarlo a tenere lontani infezioni come raffreddore e influenza, ma anche per contrastare cistiti ricorrenti, infezioni vaginali, prostatiti negli uomini e le altre malattie appena ricordate. Le preparazioni disponibili sono due: il tè o tisana e la corteccia polverizzata in capsule. Il tè, detto anche “degli Incas”, è ottenuto dalla triturazione della corteccia in taglio tisana: si prepara mettendo per qualche minuto un cucchiaino di questa preparazione in acqua portata a ebollizione e si sorseggia una o due volte al giorno la bevanda così ottenuta, utile per contrastare attacchi di mal di gola e tosse. Quanto alla corteccia polverizzata, se ne devono assumere due capsule al giorno, da 300 o 500 mg, a seconda del giudizio del medico o del naturopata e in base alle caratteristiche costituzionali e cliniche del paziente. Esiste infine sotto forma di unguento per uso locale esterno, utile in caso di ustioni lievi, herpes o emorroidi.
Può essere assunto da tutti senza problemi? «Alle dosi consigliate, il suo utilizzo non ha controindicazioni particolari, salvo eventuali reazioni di tipo allergico – avverte Gianfrancesco. -Occorre però cautela in gravidanza e allattamento, così come da parte delle persone che seguono terapie anticoagulanti e antiaggreganti, anche a base di aspirina, perché favorendo la formazione della vitamina K nell’organismo tende ad accentuare l’azione dei farmaci».
Una “miniera” di sostanze preziose
È la sua corteccia, compatta (si ripara continuamente), resistente (tanto da meritarle il titolo di “ironwood”, che in inglese significa “legno di ferro”) e capace di difenderla dall’attacco di virus, batteri, muffe e temperature troppo basse, la vera “miniera” da cui si estraggono le tante, preziose sostanze che la pianta del Lapacho contiene. Oltre che dei naftochinoni e dei tanti minerali in traccia già citati nell’articolo, è infatti ricca di Coenzima Q10 (un componente naturale dell’organismo fonte di energia e dall’azione antiossidante) e inoltre tannini, polifenoli e flavonoidi (altre sostanze dal potere antiossidante), alcaloidi (analgesici, sedativi e tonici cardiaci) e saponine (sostanze antinfiammatorie e cicatrizzanti). La forza del Lapacho o “Albero divino” sembra risiedere proprio nell’azione sinergica dei molti principi attivi che contiene.